PAOLO CONCA

(San Bonifacio 17 ott. 1888 – San Bonifacio 25 ott. 1968)

POLITICO, PUBBLICO AMMINISTRATORE.

Nato da Policarpo, proveniente da Verona dove era stato allevato nel Luogo Pio Esposti, bracciante e poi guardia notturna e da Luigia Agostini.

Dopo l’istruzione elementare iniziò a lavorare facendo prima il tagliapietre e poi il muratore cementista. Prese parte alla guerra di Libia (1911- 12) e alla prima guerra mondiale; sposò Teresa Turetta, figlia di Antonio “garibaldino” di San Bonifacio, che fu con il generale in Francia nel 1870 contro le armate prussiane di Guglielmo I.

In seguito alle proprie esperienze acquisite nel mondo del lavoro, prese ad opporsi al potere intransigente e indiscutibile, rappresentato, specialmente in campagna, dai ricchi proprietari, ricercando per sé e i suoi concittadini un’altra Italia: rigorosa ma giusta, dignitosa e sensibile; attenta soprattutto ai bisogni del popolo, ai problemi del lavoro, alla condizione dei lavoratori.

Nel 1912, fondò con alcuni amici a San Bonifacio la sezione del Partito Socialista, proprio quando infiammava la lotta politica tra i cattolici della “lega bianca” e i socialisti della “lega rossa”; entrambe le formazioni, pur da posizioni diverse, erano in quel momento strenuamente impegnate alla difesa dei diritti dei lavoratori.

Alle elezioni politiche del 16 novembre 1919, risultò il primo dei non eletti subentrando, l’anno successivo, all’on. Policarpo Scarabello, deceduto.

Il 10 ottobre del 1920 si tennero anche le amministrative; egli guidò il suo partito ad una schiacciante vittoria. Divenne così il primo sindaco socialista del comune, anche se dovette subito dimettersi per incompatibilità con la carica di deputato. Fu il leader incontrastato del suo partito e godette di grande popolarità.

Dopo la “Marcia su Roma” e l’affermazione elettorale fascista del ’23, i principali esponenti del socialismo sambonifacese ripararono all’estero, egli invece rimase in paese e si ripresentò alle politiche dell’anno successivo (1924). Fu una campagna elettorale segnata dai roghi delle bandiere rosse e dai comizi nelle piazze sotto la minaccia delle baionette fasciste. Fu rieletto contro ogni previsione, ma il regime fascista, specie dopo il delitto Matteotti e la protesta dell’Aventino, prese a perseguitarlo, come avveniva per altri deputati.

Nel 1926 fu arrestato e condannato al confino ad Ustica per cinque anni. Nell’isola condivise la segregazione con Antonio Gramsci e Amedeo Bordiga, oltre agli ex deputati P. Sbaraglini, P. Ventura e C. Sansone. Liberato, ebbe l’obbligo della libertà vigilata; preferì risiedere a Torino, accettando un incarico di lavoro offertogli dall’ing. Giuseppe Romita, futuro ministro degli interni della Repubblica, conosciuto in carcere. A San Bonifacio fece ritorno del 1946.

Chiamato a far parte della Consulta, invecchiato e amareggiato dalle divisioni interne del Partito Socialista, preferì ritirarsi a vita privata in dignitosa povertà.

[Tratto da: Dizionario Biografico dei Veronesi. Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona. Verona 2006. Pagg. 247- 248]. (G.C.)