GAETANO TRESTIN

(S. Bonifacio 26 Ottobre 1893 – 1974)

SCULTORE

Fin da ragazzo fu attratto dall’arte. A 14 anni iniziò a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Verona, dove nel 1913 compì gli studi d’anatomia, storia e architettura. Nello stesso anno fu chiamato alle armi, per un servizio di leva ininterrotto di sei anni come Sergente nel Reggimento d’Artiglieria a cavallo. Combattè nella guerra 1915-’18, durante le cui vicende fu gravemente ferito e fatto prigioniero fino all’Armistizio. Nel 1919 volle ancora frequentare l’Accademia di Verona per un corso di aggiornamento, dedicandosi totalmente alla scultura, sostenendo la propria attività con la pensione di mutilato di guerra ottenuta dallo Stato.

Nel 1921 realizzò il monumento ai Caduti di San Bonifacio. Era un’opera alta 7 metri, di cui 4 di basamento in marmo screziato di Chiampo e 3 d’altezza della matronale figura di donna simboleggiante l’Italia che manda suo figlio a difendere i confini della Patria. “Nellatteggiamento assalitivo del fante, nei suoi muscoli tesi e frementi, nello sguardo bramoso dimmediato cimento alloffesa per la difesa, cè tutto un poema despressione patriottica.”. Così scriveva il cronista di “La Rinascita” n. 12, anno 1. L’oratore ufficiale della festa d’inaugurazione del monumento, prof. Gasperoni, lo classificò: “il migliore del Veneto” (L’Arena 2-11-21).

Nonostante tali apprezzamenti, il monumento iniziò a suscitare delle sotterranee contestazioni. Il Podestà Avv. C. Cervato in data 16-6-37 già scriveva allo scultore “di studiare eventuali modifiche da apportare, per andare incontro al desiderio espressomi da molte autorevoli persone del paese”. L’opera in breve tempo fu smantellata.

Intercorsero corrispondenza ed incontri tra lo scultore, indignato ed offeso, ed il Podestà. Il 15-9-39 Gaetano Trestin scriveva al Podestà: “Nel giugno del 1939 giunse al Municipio di S. Bonifacio una lettera della R. Prefettura di Verona con la comunicazione di delibera per rimettere a posto il Monumento ai caduti di guerra – la lettera reca il n. 17032 div. II, data 14 giugno 1939. A me non si fece parola di tale delibera da parte del comune che voi reggete – e questo mi diede non lieve rammarico. Ora mi domando se e quando verrà messa in atto la delibera della Prefettura, perché se a mia insaputa il Monumento venne posto a terra e il basamento dislocato al Foro Boario, mi pare legittimo chiedere che il mio lavoro, offerto con tanto cuore e approvato da commissione venga rimesso in onore…”. Il Podestà, con lettera in data 27-9-39, prometteva “…sarà provveduto alla sistemazione della Piazza [Foro boario] su cui verrà trasferito il Monumento a ricordo dei gloriosi Caduti in Guerra.”.

L’Amministrazione comunale, qualche tempo dopo, lo demolì pure da tale nuova sede, e alienò il bronzo ad una fonderia di Milano. E’ stato un fatto inaudito, forse unico e perverso nel suo genere, nelle vicende storiche di tutta la nazione.

In merito all’avvenimento nel 1956 Giovanni Massignan, “… già sindaco socialista di Sambonifacio (Verona) nei tempi eroici dellimmediato antifascismo…”, scriveva al Direttore di “Nostra Repubblica” per denunciare il “… sopruso avvenuto durante lera fascista e denunciare la carenza scandalosa dellamministrazione comunale di Sambonifacio che non vi ha posto rimedio…” “appena i fascisti furono al potere, il monumento venne demolito, certo per odio contro lamministrazione precedente che laveva fatto erigere con il contributo di tutti i cittadini, ma con lipocrisia… della morale! Siccome una delle figure del monumento figurava un combattente nudo, qualche beghina se ne era scandalizzata! … questo ostracismo ad unopera darte di grande valore costituisce uno scandalo…” (n°4, pag. 2, 1956).

Una borsa di studio vinta nel 1923 gli consentì di trasferirsi a Roma, per approfondire gli studi d’architettura e scultura greco-romana, e l’anno successivo fu richiesto quale insegnante di “disegno ornato, geometrico e plastico” dalla Scuola Industriale di Verona (ora G. Ferraris), dove insegnò ininterrottamente fino al 1932. Dal 1924 (anno in cui fu vincitore del concorso per il monumento di Zevio), lo scultore partecipò a concorsi e mostre, tra cui il concorso “Bovio” di scultura – Verona (1929), con la presentazione della scultura “Carlo Zima”, riprodotta poi sull’enciclopedia “Pomba” del 1930, il concorso “Savoia Brabante” di Roma (1934), la 5a mostra d’Arte Veronese (1939), la 2a Mostra Nazionale d’Arte Moderna – Verona (1965), la 3a Mostra Internazionale d’Arte Moderna – Verona (1966). Nel loro ambito gli furono devolute numerose pregevoli citazioni e saggi della critica. Suoi monumenti commemorativi sono a Milano (bronzo a grandezza naturale ispirato dalla Vittoria alata di Samotracia), il monumento bronzeo pure a grandezza naturale nel cimitero monumentale di Verona, il busto di Carlo Cipolla nella biblioteca civica di Verona.

Le opere da collezione sono tutte datate dal 1928 in poi, e di esse restano testimonianze a Torino, Trento, Valdagno, Vicenza, Roma, oltre, s’intende, a quelle lasciate agli eredi per testamento, che sono 140. Quelle vendute mentre era ancora in vita sono tutte di bronzo, derivate in copia dagli originali di gesso o di ceramica.

Non è mio compito esprimere giudizio sull’opera dell’artista Sambonifacese, perché tale incombenza esige il possesso della necessaria perizia. Mi affido quindi allo studio pubblicato dal critico d’arte prof. Salvatore Maugeri nel corso della mostra retrospettiva del 1977 a San Bonifacio: “… Scolpire un ritratto, per lui (…) voleva dire certamente penetrare nella psicologia del soggetto proposto ma implicava altresì limpegno di ricondurlo idealmente ai modelli del Quattrocento toscano o a quelli del Basso Impero romano. Questi convincimenti, assai presumibilmente, derivarono a Gaetano Trestin dalle realizzazioni dello scultore fiorentino Romano Romanelli, considerato il rappresentante per eccellenza del ?Novecento plastico, con la differenza che Trestin, da veneto, vi aggiunse una segreta ammirazione per il rigore metrico e per la pulitezza di superfici dascendenza canoviana”. E ancora: “Il primo [filone] di essi è costituito dallaccentuazione degli stilemi classicheggianti: fluenze e avvolgimenti di pieghe nei manti, nei veli e nei drappi; energia nei toraci efebici; eleganza nei fusoli di gambe e di braccia; idealizzazione di teste apollinee; torsioni intrise di grazia; morbidezza del modellato; tendenza al naturalismo, nel senso dellattenta resa delle leggi anatomiche.” … “Laltro filone … aduna quelle sculture che sono intrise di una maggior concretezza plastica, di un più acuto riscontro col palpito della vita e con uninvenzione meno costretta nellalveo dei riferimenti e degli schemi della classicità e dellAccademia dove il riferimento con la storia e con il mito, là dove cè, non impedisce allo scultore di consegnare alle sue opere limmagine più libera e piena della propria fantasia, della propria emotività e della propria consumata perizia nel dare al suo modellato la parvenza della carne e il fremito della vita”.

Nel 1974 Gaetano Trestin, su insistenza d’alcuni nipoti, allestì l’ultima mostra personale alla Galleria “Volto San Luca” di Verona, che ottenne un notevole successo di pubblica ammirazione e richieste d’acquisto, cui l’Artista tuttavia non volle aderire. Morì nello stesso anno, a pochi giorni dalla chiusura della mostra. (G.C.).